All’interno dell’opera alfieriana, La Virtù Sconosciuta è uno dei testi più intimi dell’autore: l’opera, un dialogo tra Alfieri e l’amico defunto Francesco Gori Gandellini, restituisce un importante frammento della vita e della poetica dell’autore all’altezza del 1786. È infatti possibile rintracciare nel testo molti segni della vicenda letteraria alfieriana, passata e futura, e in primis alcune suggestioni riguardanti l’autobiografia, che l’autore inizierà a stendere di lì a poco, a partire dal 1789. Nel corso del presente contributo, però, si cercherà di mettere in luce la rilevanza politica dell’opera. Come sostenuto da Giuseppe Ricuperati, infatti, il dialogo, assieme ai trattati Della tirannide e Del Principe e delle Lettere e al Panegirico di Plinio a Trajano, è debitore nei confronti della tradizione illuministica europea, e vicino ad autori come Montesquieu, Voltaire, Rousseau, Helvétius, Boulanger, Mirabeau, Diderot. Lo studio cercherà quindi di mettere in rilievo il tasso di politicità dell’opera vagliando diversi fronti: dalla scelta dell’interlocutore, un senese repubblicano, ai punti di contatto del dialogo con le opere politiche dell’astigiano. Saranno quindi scandagliati gli aspetti ecdotici e archivistici: l’opera viene infatti data alle stampe presso la tipografia di Kehl, dove Alfieri fa stampare altre sue opere di carattere più marcatamente politico, al fine di sottrarsi alle limitazioni della censura francese. La prima redazione della Virtù Sconosciuta, infine, compare nello stesso manoscritto che ospita le opere politiche già menzionate.