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| Data publikacji:
31-12-2003
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Abstrakt
| s. 317-328
La pubblicazione del recente documento della Pontificia Commissione Biblica: Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture, coincide con il centenario della istituzione di questo organo. Per comprendere la portata del nuovo documento va preso in considerazione lo sfondo storico del centenario passato e il contesto di tutti gli altri documenti della Commissione. Con la lettera apostolica Vigilantiae (del 30 ottobre 1902) Leone XIII istituì il Consiglio o Commissione (Consilium, sive Commissionem) composto da alcuni cardinali e biblisti cattolici di fama. I suoi compiti stabiliti dalla lettera apostolica e prima ancora nella enciclica dello stesso pontefice Providentissimus Deus, sviluppo della scienza biblica e salvaguardia dalle opinioni erronee, sono stati realizzati nei documenti e negli interventi della Commissione. Nella sua storia si mostra l’evoluzione da una posizione puramente conservatoria ad una piena apertura alla libertà della ricerca esegetica. Gli anni della riforma conciliare e la seguente trasformazione della Commissione dal dicastero della Curia alla consiglio degli esperti ha portato alla elaborazione dei significativi documenti per gli studi biblici e per la vita della Chiesa.
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| Data publikacji:
31-12-2003
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Abstrakt
| s. 329–359
Il tema dell’articolo è preso dal titolo del paragrafo ventitre del documento della Pontificia Commissione Biblica Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture. Questo paragrafo presenta uno dei temi comuni di entrambi i Testamenti: Dio entra in comunicazione con gli uomini e parla ad essi. Questa comunicazione ha suscitato la fede dei suoi destinatari in Dio. La conoscenza della verità su Dio si avverò nella storia d’Israele e divenne l’oggetto dell’esclusiva esperienza religiosa di questo popolo. La storia religiosa d’Israele, in confronto continuo con le credenze di altri popoli e con le minacce per la fede monoteista, viene testimoniata dagli scritti veterotestamentari. La fede in uno Dio è la verità fondamentale anche del Nuovo Testamento, perché viene confermata dalle parole di Gesù che rispose: „Il primo è: Ascolta, Israele. Il Signore Dio nostro è l’unico Signore” (Mc 12,29). La comprensione cristiana della professione di questa fede ci divide dagli ebrei non cristiani. Essa viene espressa dalle parole di Paolo: „per noi c’è un solo Dio, il Padre, dal quale tutto proviene e noi siamo per lui; e un solo Signore Gesù Cristo, in virtù del quale esistono tutte le cose e noi esistiamo per lui” (1 Cor 8,6).
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| Data publikacji:
31-12-2003
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Abstrakt
| s. 360-366
Il documento della Pontificia Commissione Biblica Il popolo giudaico e le sue Sacre Scritture nella Biblia cristiana tratta della relazione tra i cristiani e il popolo giudaico. Queste relazioni sono molto strette. Per conoscerle bene occorre uno studio serio che prende in considerazione l’esegesi biblica a Qumran, dove i libri biblici venivano studiati per un lungo tempo. Essa viene testimoniata dai pesharim, cioè dai commentari ai libri biblici. Tra questi si trovano otto pesharim ai libri profetici. In essi domina l’aspetto escatologico. Nell’esegesi degli esseni si possono trovare molte analogie con l’esegesi cristiana, anzitutto per quanto riguarda il libro di Isaia.
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| Data publikacji:
31-12-2003
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Abstrakt
| s. 367-383
Il documento della Pontificia Commissione Biblica dell’anno 2001 sul tema: Il popolo giudaico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia cristiana sottolinea che questo popolo eletto e le sue Sacre Scritture hanno un posto eccezionale nel Nuovo Testamento. Essi formano la prima parte della Bibbia cristiana come l’Antico Testamento e sono presenti per molti modi nella sua seconda parte, nel Nuovo Testamento. In tutti gli scritti del Nuovo Testamento vediamo numerosi rapporti di Gesù stesso e dei suoi discepoli con i giudei. Nei Vangeli si presenta l’attività di Gesù fra i giudei, che chiama tutti alla penitenza e alla fede. Negli Atti degli Apostoli e nelle lettere di Paolo vediamo, come la salvezza va da Gerusalemme alle città pagane, ma a volte con molte difficoltà dalla parte dei giudei. La negativa presentazione del giudaismo, che ha rifiutato questa proclamazione, è un fatto storico, ma non può essere vista come un antigiudaismo. Perché la salvezza si trova nel primo posto per i giudei, ma poi anche per i pagani. San Paulo ha spiegato questo problema nella Lettera ai Romani (9–11) come mistero della fede. Giovanni Paolo II dicendo, che fra i cristiani e giudei ci sono numerosi collegamenti, invoca sia gli uni che gli altri all’amore fraterno e alla buona volontà. Dobbiamo insieme, cioè i giudei e i cristiani, vincere nei nostri cuori i sentimenti antigiudaici e anticristiani.
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| Data publikacji:
31-12-2003
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Abstrakt
| s. 384-390
La relazione di contrasto e di legame reciproco tra i Testamenti si esprime su diversi piani e in vari modi. Una di queste espressioni è da trovare in un motivo di carattere narrativo e teologico. Mettendo in rilievo il ruolo degli scribi, il Vangelo di Marco permette di riconoscere il fondamento dell’originalità cristiana nell’interpretazione della prima parte della Bibbia: l’identità di Gesù del Figlio di Dio e la sua autorità nelle parole e nelle opere. Il conflitto con gli scribi rivela la relazione unica di Gesù con Dio e le sue conseguenze per gli uomini. La sua autorità personale non si fonda sul sostegno da parte degli uomini, ma è basata sull’unione perfetta con Dio e sulla identificazione della sua volontà con la volontà di Dio.
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| Data publikacji:
31-12-2003
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Abstrakt
| s. 404-413
L’Eucarestia viene spesso definita come frazione del pane. Il termine ha delle proprie origini nella tradizione biblica. Alle soglie del cristianesimo quel gesto di spezzare il pane, caratteristico per il mondo semitico, era soprattutto il segno della particolare stima verso il dono di Dio, ma portava pure il significato di apertura, di fraternità, di giustizia, di ospitalità e di compassione. Per gli Ebrei essere in possesso del pane era un visibile segno della benedizione di Dio e la possibilità di spezzarlo con qualcuno simboleggiava l’amicizia e la comunità. Sia gli storici di liturgia che gli esegeti finora hanno dei dubbi se quella formula possa essere considerata come il termine tecnico dell’Eucarestia. La difficoltà di concordare diverse opinioni sta anche nel fatto che quel termine viene usato nel Nuovo Testamento soltanto due volte e soltanto nell’opera lucana. Il riconoscimento di Gesù Risuscitato dai discepoli di Emmaus nel gesto di „frazione del pane” pare una costruzione letteraria di Luca. Se fosse proprio così, non sarebbe più importante se Gesů poteva celebrare l’Eucarestia ad Emmaus, ma solo se Luca aveva intenzione di parlarci di Eucarestia in quel momento. Sembra evidente che l’autore del Vangelo volesse far riferimento alla pratica di celebrazione della Cena del Signore nei suoi tempi. Questo sarebbe il senso generale della scena descritta. L’espressione klasis tou artou ha un significato particolare per Luca. La usa per indicare un ricordo di passione e di Rissurezione di Gesù Cristo, celebrato nei suoi tempi. I primi cristiani si incontrano in comunità: ascoltano la Parola di Dio e spezzano il pane (Atti 20,7–12). Si riuniscono il primo giorno dopo il sabato (verso 7), cioè la domenica, e il luogo di riunione è la casa – domus ecclesiae. Dunque questi tre elemeti: il rito (ascoltare la Parola di Dio e spezzare il pane), il tempo cioè il giorno d’incontro (domenica) e il luogo di riunione (casa) diventano la caratteristica della prima Chiesa di Gesù Cristo. Nei testi dei Padri della Chiesa sostanzialmente troviamo l’interpretazione eucaristica della formula fractio panis. Per S. Agostino e per S. Beda Venerabile fu evidente che si parlasse di Eucarestia. Pure S. Gerolamo sostenendo che la casa di Cleopa ad Emmaus venne cambiata in Chiesa, afferma la continuazione dello stesso rito nello stesso posto. Sembra anche che la riscoperta della bellezza letteraria e teologica di quella pericope abbia causato l’inserimento dei suoi elementi nei canoni eucaristici nella liturgia dopo il Concilio Vaticano II (Preghiera Eucaristica V).
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PL
| Data publikacji:
31-12-2003
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Abstrakt
| s. 414-436
Es werden die Grundzüge der Neue Rhetorik (new rhetoric) nach dem Werk Traité de l’Argumentation. La nouvelle rhétorique von Perelman und L. Olbrecht-Tyteca vorgestellt. Die Presentation wird in den Rahmen der Literaturgeschichte und der Bibelkunde gemacht. Wir möchten damit die Möglichkeiten der neuen Methode in der Bibelforschung presentieren. Der Artikel enthält vier Teilen. Nach dem geschichtlichen Kontekst der neuen Methode (I) werden die Voraussetzungen von new rhetoric besprochen (II). In der neuen Rhetorik spielt die grosse Rolle Ausgangspunkt der Argumentation (III). Die konkreten Techniken der Argumentation schliessen die Regeln der klassischen Rhetorik und die aus den verschiedenen modernen humanistischen Furschungen stammenden Resultate ein (IV). Die Prinzipien der Neuen Rhetorik und die konkreten Hinweisen werden mit den Beispielen vor allem aus der Bibel illustriert.
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PL
| Data publikacji:
31-12-2003
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Abstrakt
| s. 459-476
Nel Nuovo Testamento il definitivo rinnovamento annunciato dai profeti si presenta in tre modi: l’apocatastasi già realizzata dall’opera salvifica di Gesù Cristo, quella attuale che si compie continuamente per mezzo della missione dei suoi discepoli e quella futura che sarà realizzata in modo definitivo nella parusia. L’oggetto di questo rinnovamento è la liberazione dell’uomo dal dominio del male e la sua sottomissione a Dio. Nei padri apostolici l’apocatastasi viene riferita al rinnovamento attuale del regno di Dio nei cuori umani. Negli apologeti si nota uno sviluppo dell’idea. In Giustino accanto alla dimensione attuale è messo in risalto il rinnovamento avvenuto nell’opera di Cristo. La stessa concezione viene accentuata da Ireneo. Teofilo di Antiochia arriva a parlare della sua dimensione futura avvicinandosi così a Origene. Il rinnovamento consiste nel ritorno allo stato anteriore al peccato originale. Per Taziano esso già è universale e definitivo e si realizza nella risurrezione dei corpi: „creazione” di un corpo nuovo e immortale.
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PL
| Data publikacji:
31-12-2003
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Abstrakt
Origen’s exegesis is based on serious assumptions, both philosophical and theological. The philosophical foundation of his exegesis, as it is widely known, derives from the Platonic concept of the world. The article concentrates on a number of theological aspects. Origen obviously recognizes the Holy Scriptures as the Word of God. With this as a starting point, Origen compares the fact of writing down the Word of God as the Scriptures to the Incarnation and creation. Just as Logos assumes a human form, and thus humanity with all its consequences, the written Word is, in some way, „incarnated” in human speech and writing. Consequently, Origen perceives the structure of the Scriptures as analogous to that of man: the Scriptures have their body, soul and Spirit. The comparison between the Holy Scriptures and the fact of creation has the following implications: the whole world is the work of God, though in its numerous aspects it does not seem worthy of the good and almighty God. In the same way, the Scriptures are the work of God, though their numerous texts seem unworthy of God’s perfection. The analogy between the Scriptures and the Incarnation and creation makes it possible for Origen to perform a thorough study of biblical texts and develop all the necessary exegetic techniques, as the subject of his study is not Logos Himself, but His work: human words and writings. It is only through such a study that one gradually grasps the mystery of the Word, Logos. It seems that those intuitions of Origen are also meaningful today: they are in line with the modern practice of biblical studies, making use of all the available scientific tools to analyze the texts of the Scriptures.
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PL
| Data publikacji:
31-12-2003
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Abstrakt
| s. 490-503
Der Dialog des Erlösers (NHC III, 5) ins Polnisch übersetzt und eingeleitet von Wincenty Myszor. In der Einleitung wird die Frage der Verfasserschaft, so wie die neutestamentliche Tradition und einige inhaltliche Probleme besprochen.
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PL
| Data publikacji:
31-12-2003
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Abstrakt
| s. 518-534
Im Artikel wird das von J. Werbick ausgearbeitete Verständnis der metaphorischen Rede in der Theologie dargestellt. Es wird von den Aporien der begrifflichen Rede ausgegangen und dann der Grundduktus der Argumentation von Werbick für die Anerkennung der Metaphernsprache in der Theologie als der eigentlichen und nicht „bloß bildlichen” Redeweise dargelegt. Dies wird mit ergänzenden Themenkreisen beleuchtet und präzisiert, die aus den wahrscheinlich dringlichsten Fragen zu diesem Konzept entstehen: Zuerst ist das die Verhältnisbestimmung der so verstandenen Metaphorik zur aristotelischen Rede von der Metapher und im besonderen zur Analogie. Dann wird auf die Frage eingegangen, der Werbick viel Aufmerksamkeit schenkt, und zwar ob die vieldeutige Aussage der Metapher nicht die Eindeutigkeit des Glaubens gefährdet. Letztlich wird das Problem der möglichen psychologisierenden Reduktion von Offenbarung und Erlösung im derartigen Konzept behandelt. Hier wird hauptsächlich auf Werbicks Auseinandersetzung mit Drewermann hingewiesen, wo gezeigt wird, dass die Metaphern als Ausdrucksweisen des geschichtlichen Heilshandelns Gottes dienen. Die Frucht des ausgearbeiteten Metaphernverständnisses zeigt sich in den dogmatischen Veröffentlichungen Werbicks. Im Artikel wird auf seine Soteriologie eingegangen, um an diesem Beispiel zu zeigen, wie die Metaphorik als die eigentliche theologische Sprache zum besseren Begreifen der Erlösung beiträgt. Am Schluss wird im Rahmen eines Kritikversuches die Frage behandelt, ob der biblische Bericht von der Neuheit des Lebens der Erlösten in der Metaphernsprache genügend ernst genommen wird. Damit verbunden ist die weitere Frage, ob die Metaphernsprache es vermag, die radikale Heilsbedürftigkeit des Menschen und die Autonomie des Heilshandelns Gottes deutlich auszudrücken, ob – in Folge – die Absolutheit der Heilsvermittlung in Christus zur Sprache kommt. Es scheint, dass in diesen Zusammenhängen die analogia entis als die eigentliche (gegenüber den Metaphern präzisierende) Sprache der Theologie unumgänglich ist.